Giudicare Profumo di carcere di Vittoria Moledda (clicca qui per la biografia), significherebbe giudicare la storia di un uomo, che ha sbagliato e pagato per gli errori commessi. Vittorio Moledda si mette a nudo ripercorrendo la sua storia e non solo. Questa autobiografia è anche il racconto di un periodo storico particolare che ancora oggi riscuote attenzione a livello cinematografico e letterario.
Si è consumata una foresta per raccontare fatti e misfatti di personaggi che la mano di pennivendoli e soprattutto la vanità, ha contribuito a mitizzare.
Trama
La storia di Vittorio può ricalcare quella di tanti ragazzi che inizialmente per circostanze e poi per una sorta di esaltazione si trovano a delinquere. Lui lo fa in quel periodo storico in cui la Banda della Magliana iniziava a diventare realtà. Una realtà che nel libro viene ridimensionata o meglio raccontata da un punto di vista diverso. Di fatto il tessuto su cui si muovevano esponenti di spicco della delinquenza romana li portava a conoscersi e a rispettarsi, a collaborare in alcune circostanze. La banda, quindi, non aveva quella connotazione che l’immaginario collettivo le conferisce.
La vita da rapinatore Vittorio Moledda si è intrecciata con quella di alcuni personaggi noti come Renato De Pedis, ma ha preso poi una sua direzione.
Diciotto anni di carcere hanno segnato e cambiato la vita di quest’uomo che racconta in questo libro il suo riscatto.
E’ un’autobiografia che andrebbe letta avendo già una conoscenza di base dei fatti che balzarono agli onori della cronaca in quei tempi (clicca qui per un suggerimento). Infatti nella prima parte sono raccontati tanti episodi in cui Moledda era coinvolto o di cui era a conoscenza prima di venir arrestato.
Qui inizia una fase diversa. I racconti del carcere sono forti e bisogna leggere andando oltre le righe per capire il percorso emotivo dell’autore. Moledda, negli anni in cui sconta la sua pena, gira le carceri d’Italia, evade una volta e tenta l’evasione almeno altre quattro volte, prima di trovare un nuovo percorso attraverso lo studio. La cultura e la sensibilità lo porteranno a trovare la sua strada.
Di giorno, in quel pianeta carcere non potevo permettermi il lusso di non apparire ciò che gli altri volevano che fossi; mi avrebbero schiacciato. Per lungo tempo avrei vissuto una sorta di vite parallele, in una sarei stato Vittorio, quello che era capace di piangere guardando il cielo stellato e nell’altra il bandito vuoto di sentimenti. Da subito iniziai ad organizzarmi per quella nuova vita.
Curiosità
Il titolo del libro Profumo di carcere non ha semplicemente un risvolto poetico, ma è da ricondurre a un’abitudine curiosa dell’autore. Vittorio Moledda identificava ogni carcere con un odore preciso, spesso generato da ciò che era presente fuori dalle mura e nel corso delle sue detenzioni annotava su un quaderno le sue sensazioni olfattive. Una mania che generava inizialmente derisione tra i suoi compagni, ma che poi con il tempo veniva accolta e sostenuta.
Profumo di carcere è ciò che lo ha aiutato a vivere in attesa di ritrovare il profumo della libertà.
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